Storicamente il nostro sistema di supporto all’export è tra i più efficaci dell’area Ocse. L’Italia ha il 25% delle esportazioni tedesche ma il supporto all’export arriva al 50% di quello della Germania. Inoltre siamo tra i più forti su beni durevoli e grandi commesse.

L’Italia ha un sistema di supporto all’export molto articolato. Che differenza c’è rispetto alle altre nazioni’?

Da noi – come in Canada e Giappone, ma diversamente da Uk, Francia e Germania – questo sistema ha assunto un modello privatistico-assicurativo».

Ha dei vantaggi rispetto agli altri’?

«Ha garantito autosostentamento e solidità, evitando oneri diretti sul bilancio dello Stato, che resta solo garante di ultima istanza».

È cambiato qualcosa negli ultimi anni’?

Oggi circa il 60 per cento delle attività di supporto ad export e internazionalizzazione a livello mondiale si realizzano fuori dagli accordi di “Consensus”, che dal 1976 regolano in ambito Ocse l’intervento pubblico. Solo 10 anni fa non era così. Ciò è dovuto soprattutto ai nuovi paesi come Cina, Brasile e Russia, che sono molto aggressivi».

Il nostro sistema ha saputo adeguarsi a queste dinamiche’?

ln gran parte sì, soprattutto grazie a due aspetti: l’introduzione della Eximbank, con Cdp che è diventata Export Bank azionale sopperendo al credit crunch, e l’introduzione della push strategy in Sace. Soltanto noi e il Canada l’abbiamo adottata, assumendo un approccio “proattivo” verso importatori esteri per aprire nuove opportunità alle nostre imprese

Non è che il nostro sistema è diventato troppo barocco, con troppi soggetti e passaggi’?

Preso atto che oggi il perno dell’intero sistema è concentrato in Cdp – che eroga finanzi amenti e controlla Sace e Simest – direi che ci sono almeno due aspetti migliorabili e due nuove sfide.

Che cosa si può migliorare’?

In alcuni ambiti – Oil&Gas o cantieristica navale – si è creata una forte concentrazione di rischio. Per preservare il modello assicurativo di Sace si è attivata una riassicurazione con il Mef per i rischi eccedenti i limiti Sace. Parliamo oggi del 30% circa del totale. Bisogna far funzionare bene questo meccanismo con la nuova convenzione in via di approvazione.

Va poi gestita la “scissione atipica” dal sistema di due componenti: paesi critici e settori trainanti. Mantenendo coerenza gestionale al sistema. Nel primo caso con una convenzione Sace-Invitalia. Nel secondo, anche riservando ai settori trainanti, che creano continue opportunità di export, percorsi e risorse operative dedicate

Quali invece le nuove sfide’?

La prima, sul!’ estero, è strettamente legata a Cdp e riguarda la sua capacità di proporsi in futuro come riferimento diretto dei grandi importatori internazionali, nel ruolo di arranger delle grosse operazioni infrastrutturali. Come il Mediocredito Centrale negli anni 90. Un passo coraggioso potrebbe essere il lancio di un fondo di investimento nell’equity dei grandi progetti per accrescere il ruolo internazionale del sistema Italia. Ma la più grande sfida è quella interna. Il nostro sistema di export si fonda sulle Pmi, in gran parte del nord. Già oggi Sace supera le altre ECAs (le agenzie di supporto all’export), ma la percentuale resta irrisoria: circa 1.000 l’anno, e 5.000 cumulate, su 219mila esportatori.

 

Rif- Affari&Finanza del 18/06/2018