Conseguenze e opportunità per la Formazione e le Professioni.

La lunga crisi economico-finanziaria degli ultimi anni ha indubbiamente segnato per l’economia internazionale una forte discontinuità. Lo spazio economico che ci aspetta appare destinato ad essere profondamente diverso da quello che ci siamo lasciati alle spalle nel 2007, quando il crollo del mercato dei Sub-Prime americani ha dato inizio a tutto ciò che ne è seguito. Questa discontinuità sarà certamente più marcata per l’Unione Europea, nell’ambito della quale i forti impulsi economici della crisi hanno prodotto un avvitamento politico-istituzionale rivelatosi estremamente complesso da gestire. Sebbene appaia ancora difficile dire esattamente quale sarà il “nuovo mondo” che ci attende, cominciano ad intravedersi alcune chiare linee di tendenza. Una di queste è senz’altro la riaffermazione delle infrastrutture come priorità, dopo un decennio di universale trascuratezza che per molti paesi OCSE è seguito ad un precedente e pluridecennale calo storico di attenzione per la propria dotazione di capitale fisso. Il futuro, insomma, torna al centro dell’agenda politica!

Ma anche le infrastrutture devono fare i conti con le loro specifiche discontinuità storiche, che non sono affatto di poco conto. Quella della finanza,tanto per cominciare, in un mondo dominato dall’elevato debito – sia pubblico che privato – e da un processo di trasformazione delruolo delle banche ancora pieno di incognite. In tale contesto, il passato potrà certamente essere di ispirazione ma non potrà riproporsi allo stesso modo. Dovranno cambiare tanto le modalità di spesa pubblica per le infrastrutture quanto quelle di coinvolgimento dei capitali privati. L’innovazione potrà innestarsi su strumenti già noti, come il project financing, ma non potrà fermarsi a questo. Dovrà esplorare nuove soluzioni con nuovi protagonisti e diversi strumenti, facendo diventare le infrastrutture un’assetclass ampia e diffusa tra gli investitori, soprattutto previdenziali. Non basta. La finanza, infatti, è solo uno dei problemi delle infrastrutture e – a ben vedere – neanche quello principale. Innanzitutto, accanto al “cantiere” dell’innovazione finanziaria ha assunto un ruolo preponderante quello dell’innovazione tecnologica, che ha già prodotto di suo un “salto quantico” i cui effetti sono ancora da decifrare compiutamente.

È una discontinuità che sta mettendo in crisi vecchi paradigmi ben al di là di quanto fosse prevedibile all’inizio della lunga crisi economica. Interi settori industriali e
infrastrutturali sono totalmente “spiazzati” dal fattore tecnologico, che apre scenari imprevedibili dai quali nessuno potrà più prescindere. Le stampanti 3D per le costruzioni; Uber per il trasporto pubblico; Airbnb per il settore turistico; l’auto elettrica ed il car sharing peri parcheggi e la mobilità; la banda larga e le reti intelligenti per le comunicazioni; e così via.
Ma il “sottostante” industriale della finanza non si limita agli aspetti tecnologici.

Banche e investitori girano a vuoto senza un’azione forte, efficace e decisa sui due principali pilastri delle infrastrutture: la Pubblica Amministrazione (PA) e gli assetti – regolatori e imprenditoriali – dei vari settori infrastrutturali. Una PA per certi versi ancora ottocentesca deve cambiare forma: organizzazione, modelli e procedure. La tecnologia, certo, potrà aiutare ma sono soprattutto i processi e i criteri di spesa che dovranno radicalmente cambiare pelle. Avanza, anche per impulso europeo tramite il c.d. Piano Juncker, il principio dell’addizionalità quale presupposto di intervento pubblico, con la conseguente esigenza di un ammodernamento amministrativo che prevede una rilettura storica radicale di ogni forma di Partenariato Pubblico-Privato (PPP). A cominciare dal principale strumento di PPP: quello della concessione. Sotto altro profilo, la possibilità di coinvolgere nuovi capitali privati in progetti solidi e di qualità non può prescindere dalla revisione degli assetti regolatori e dall’evoluzione dei modelli di business di molti settori infrastrutturali. Questo non solo pertenere conto del fattore tecnologico, ma anche per poter configurare progetti di qualità, “eleggibili” per investitori istituzionali e “bancabili” per un sistema creditizio sempre più avverso al rischio. Una nuova forma di project management che travalica la semplice conduzione del singolo progetto per estendersi alla sua inter connessione con tutto il resto.

Da tutto ciò parte la presente raccolta di contributi che – con il supporto di esperienza e sensibilità offerto da valenti manager del mondo delle infrastrutture – si articola attraverso l’approfondimento monotematico dei molteplici aspetti sin qui richiamati per dare al lettore il senso profondo dei cambiamenti in atto che inevitabilmente si riverbereranno su formazione e professioni. In una parola: sul lavoro che un’Università può svolgere, e anzi deve interpretare, per accompagnare e favorire il cambiamento.